lunedì 30 giugno 2008

Il ragazzo della sera




Antologia di una tipica serata di Hominēs Sapientēs d'aujoud'hui.


In onore di chi sghignazza dicendo che frequento troppi intellettuali, solo perchè sovente passo le notti di sabato sera al cinema a vedere film come Il DIVO.
Non dico "ti voglio bene" perché sto cercando di guarire dall'uso improprio delle parolacce, ma prefigurati qualcosa che vada in tal senso, nel suo significante. Anche se spesso ti meriteresti un pessimo "tvb".
Il mio Johnnie Walker ci stava comunque bene sotto a quell'elaborato simil-post-fascista.

Prologo: Alcor e la sua cara amica. Telefono.

Amica: Alcor, che hai deciso? Devi uscire? Io sto arrivando...
Alcor: (ma non era fidanzata costei, che vuole?) Ma avevamo un appuntamento?
Amica: No, ma sto arrivando, tu dove stai?
Alcor: A casa...
Amica: Tra un po' sono arrivata lì, in piazza.
Alcor: Vabbe', ma dobbiamo andare da qualche parte?
Amica: Non lo so.
Alcor: Va bene, non andate da nessuna parte finché non arrivo io. Tra dieci minuti vi raggiungo. Devo pettinarmi, almeno il sabato...

Dopo 40 minuti abbondanti...


Alcor e altri amici di vario sesso, e irregolare distribuzione di materia grigia e cazzutaggine.

F: E ti muovi? Ti stavamo aspettando...
Alcor: Mi ha chiamato ***** (la cara amica) dov'è?
F: Lei sta in giro. Dobbiamo andare che è già tardi; che fai vieni?
Alcor: Dove?
F: Andiamo a trascorrere la serata in quel tipico paese dichiarato patrimonio Unesco. Poi ci andiamo a bere qualcosa.
Alcor: Insomma, la solita palla. Diventerò un alcolizzato doc per colpa vostra.
F: Sì.
Alcor: Va be'...
F: Ok ragazzi, possiamo andare al tipico paese dichiarato patrimonio Unesco, con quelle tipiche costruzioni  autoctone a forma conica, dove si sta caldi d'inverno e freschi d'estate. Quanti siamo?
F2: Siamo in nove.
F: Macchine disponibili?
Alcor: Io non ne ho macchina...
F2: Che novità... due macchine. Alcor vai con loro.

Ci dirigiamo alla volta delle auto. Mi giro intorno e scorgo i volti di coloro che sono stati assegnati dagli autisti a condividere con me una trentina di chilomentri tra curve, dossi, topi distratti attraversanti la carreggiata tutte buche. Capisco le ragioni della mia misantropia quando mi accorgo che il quarto cazzone sta già enucleando i nomi di tutti i fonici, di tutti i gruppi hard rock che suonavano in tutte le sale di registrazione, di tutte le città americane. E conoscendolo sarebbe passato presto a enucleare pedissequamente e scoglionantemente tutti i nomi di tutti gli stewards presenti a tutti i concerti dei suddetti gruppi, i millimetri di diametro dei tornielli delle arene in cui si sono tenuti tali concerti, l'evoluzione dei prezzi dei condom marchiati dai Kiss, nonché il numero di pezzi venduti, i nomi degli acquirenti che ne hanno usufruito, i nomi dei bimbi sfortunatamente generati per via dei difetti di fabbricazione dei suddetti, o per via di un eccessivo accumulo aerostatico nell'apice gommoso, esploso durante il coito non interrotto. E se non lo avessimo opportunamente soppresso, ci avrebbe enucleato i nomi di tutti gli spettatori paganti a tutti i concerti, di tutte queste meteore dell'Hard Rock made in USA.
Roba che li conosce solo lui, roba che questi musicisti in questione si son pure dimenticati di aver suonato mai un piffero nella loro vita e magari hanno fatto i ragionieri, gli spazzacamini, i gigolò...
Ed invece no. La cultura delle nozioni e delle pappardelle mnemoniche è roba da farsi venire l'Escherichia Coli immediatamente.
Altro che sputare in faccia agli estranei, mi ci dovrebbero mettere in testa un berretto con il negativo della bandiera della Svizzera, e porre petali di garofani agli alluci, per la siderurgica pazienza che ho elaborato .
Ma solamente perchè costui deve vendermi una Ibanez a buon prezzo, sennò col cavolo che non gli tappavo la bocca con una palla da tennis, inzuppata al cianuro.

Alcor: Ragazzi io mi siedo davanti, se non vi dispiace, ma anche se vi dispiace, soffro il mal di auto...
F: E da quando ne soffri, da quando eri piccolo?
Alcor: No, no, da qualche minuto soltanto. Ho la netta sensazione che potrei sentirmi male... Solo che è possibile mettere un cd a tutto volume, così ascoltiamo solo un po' di musica soffusa, delicata, molto soft... lo scelgo io: The Delicate Sound of Thunder dei Pink Floyd, così ci rilassiamo quieti, e ci facciamo una dormita, e soprattutto stiamo zitti. Qualcuno in particolare si sta zitto.

Ci avviamo dolci e manseuti verso la meta democraticamente deliberata. Non così democraticamente, perché mi si raccontava tra un colpo di batteria di Nick Mason che faceva vibrare i finestrini, e un assolo di Gilmour, ed anche sotto l'eco imperterrito di un'enucleazione pallosa, che la nostra destinazione era stata oggetto di un acceso dibattito tra i due autisti F e F2, con la femme fatale di turno, che mediante due begli occhi verdi ed una scollatura oggettivamente non sgradevole li teneva appesi tutti come i capponi di Renzo Tramaglino.
La suddetta voleva recarsi in un'altra città, molto molto bella, ma era stata messa in minoranza da uno schiacciante voto senza franchi tiratori.
Costei mi sta simpatica, nonostante le tipiche isterie da premestruo perenne e i vaghi tentativi di indossare il pupo da zoccola ambulante.
I leader mi piacciono è inutile ribadirlo.
Però mi compiacevo della scelta che aveva visto costei soccombere. Questo perchè in fondo mi sento di sodalizzare con i miei compari, troppo spesso vittime dei capricci di queste donzelle.

Alcor: Vi siete decisi a tirare fuori le palle, era ora...
F: Aspetta, mi sta squillando il telefono... è F2, che vuole adesso? Pronto? Che volete? Ma come quella vuole andare ad un'altra parte! Avevamo deciso che saremmo andati lì, nel paese con le costruzioni coniche patrimonio Unesco!!! Non è giusto! No, qui tutti vogliono andare dove avevamo deciso! No, dille di no! Poi dove vuole andare lei c'è casino il sabato, è un problema trovare anche posto per parcheggiare! No, no, no! Non si può, nossignore... e vabbe' va. Andiamo dove vuole lei, ci troviamo lì. Ciao.
Alcor: F, mi fai un po' pena, sappilo.
F: E che vuoi da me?
Alcor: L'ha vinta di nuovo lei!

Dopo inutili tentativi di suscitare un rimorso d'orgoglio perduto in questa gente, realizzo che non serve a niente. Glielo leggo in faccia. Quell'anomala soddisfazione per aver compiaciuto e assecondato le bizze di una donna gli aveva cambiato i lineamenti in un sorriso che, sinceramente, mi dispiaceva disilludere. Costei giocava con tutti, e l'anno prossimo si sarebbe pure sposata; dedicava a questi ragazzuoli trentenni i ritagli delle sue attenzioni, e loro raccoglievano queste inutili briciole beccando come pulcini nell'aia.

F: Però, effettivamente, ora sarà un casino trovare parcheggio... era meglio se andavamo nel paese dei coni Unesco...
Alcor: Te l'avevo detto io... rischiamo di trascorrere la serata a cercare posto per le macchine...
F: E non è giusto... che i loro capricci dobbiamo sorbirceli noi...
Alcor: ...
F: Finché ce la davano, potevo anche capire...
Alcor: ...
F: Finché fossimo noi i loro fidanzati... sarebbe anche legittimo sopportare i capricci... loro ce la danno e noi sopportiamo i capricci...
Alcor: ... (ragionamento leggermente ineccepibile, figliolo, dai sforzati ancora un po', vedrai che un po' d'amor proprio lo trovi stasera, coraggio. A 33 anni Cristo è morto, tu invece stai nascendo...)
F: E invece no! (inizia ad adirarsi) Non solo dobbiamo sopportare i picci delle nostre, eventuali, ma anche i picci di quelle degli altri!
Alcor: E mica ho capito chi è il compagno di quella... ma siamo sicuri che esiste? Sta sempre con noi la sera...
F: Sì, li ho visti insieme oggi pomeriggio...
Alcor: Ah, ho capito... ha il ragazzo del pomeriggio...
F: ah ah ah...
Alcor: E tu fai le veci del ragazzo della sera, no?
F: Magari!
Alcor: Come magari?! Ma sei scemo? (è inutile, non guarirà mai)
F: Sì, ma tanto non te la danno comunque; lei dice che siamo "amici"... cioè, è assurdo: piuttosto la danno agli estranei, ai cani, a tutti, ma agli amici, no!
Alcor: Che palle essere amici, eh?

Arriviamo. Troviamo posto. E si sorride, as usually.

F2: Alcor, la lettera che hai scritto a Veltroni è carina, ma non ho capito un passaggio quando parli delle sinapsi.
Alcor: Non fa niente...
F2: Domani vieni con noi a donare il sangue?
Alcor: Ci verrei volentieri, ma onestamente per quello che bevo, fumo e mangio negli ultimi tempi, se per caso sbirciano nelle mie arterie, c'è il rischio che me lo donino loro a me un po' di sangue nuovo e puro. Ed è meglio che lo diano a chi ne ha veramente bisogno.


Such a night





Le casse con i vuoti a rendere per poco non impedivano l'accesso.
R. si vide costretto a forzare, spingendo con le mani e tenendo tutto bloccato con un piede. Spostò quella colonna di bottiglie, facendole suonare come un campanello. Si affacciò Mario, allarmato, per vedere che cosa stava succedendo. Stai a vedere che qualcuno gli stesse rubando anche le bottiglia di birra.
- Ah. Sei tu - disse. - Ma sto chiudendo. È quasi l'alba - aggiunse poco dopo.
- Vedo. Però tu fammi entrare lo stesso.
- Va bene.
R. entrò seguendo Mario che camminava a gambe divaricate facendo sventolare uno straccio umido che ogni tanto schizzava qualche goccia di acqua puzzolente.
La televisione, posta su una mensola elevata ad un angolo, dava uno di quei programmi amarcord pieno di ballerine mezze nude che avevano cominciato a spopolare con i primi vagiti della tv commerciale, negli anni '80.
Il volume era molto basso, però sibilava. E dava fastidio. Perciò anzichè sedersi al bancone, R. andò a poggiarsi ad un tavolino lontano sul quale giaceva ancora la Gazzetta del giorno prima.
- Pure!
- Che c'è?
- Sto pulendo, cazzo! E ti vai a sedere al tavolino che ho appena lucidato? Vieni al bancone, sennò vattene a dormire. - Nessuna risposta. - Ehi! Parlo con te! E poi ti devi decidere a smettere di bere!
- Sta' zitto e preparami dell'acqua tonica - rispose R. infastidito ma indifferente.
Mario allargò le braccia, e si sentì dopo un po' un bicchiere che s'andava riempendo.
- Ecco. Però vieni al bancone.
R. s'alzò, si diresse verso il bancone, prese il suo bicchiere e cominciò a sorseggiare. Camminò lentamente, guadagnò il suo tavolo, si risedette e decise che non avrebbe prestato più la minima attenzione a quello che gli sarebbe stato detto, o urlato.
"Ci sono io che faccio testo a parte", pensava. Ed immaginava qualcuno, molto lontano, che stesse ridendo a denti stretti. Emise un sorriso e vuotò il bicchiere. Restò poi a fissarlo. Non rifrangeva nessuna luce.
Sentì vagamente dei passi che si avvicinavano e notò l'ombra di Mario che si era sviluppata su quel tavolino in modernariato arrugginito e bianco che si poggiava al muro.
Costui bonariamente sorrideva sotto i baffi grigi.
- Altra notte insonne, eh?
- Sì. Ma ci sono abituato. Dormo scarso un paio d'ore al giorno.
- Dovresti darti una ripulita, ragazzo. Via i capelli, snellisciti, basta sigarette e basta la merda liquida che ti vendo io.
- Dovrei.
- Perché non te ne torni a casa a riposare?
- Spegni la tv, Mario. Ancora a fare il pieno di questo schifo stai.
- Mi fa compagnia, idiota.
Meglio star soli. Meglio star soli, se la compagnia è questa. "Dannazione, parla. Per la miseria, di' qualcosa. Fammi sentire che diavolo pensi veramente! Non posso tirare sempre a deduzioni". Si sentiva un pochino canzonato, confuso. O forse non lo era a giusta ragione. Solo che lui parlava schietto entro certi limiti. Prese il taccuino e cominciò a scrivere, a dar sfogo alla sua inconsistente ricchezza. A quelle lodi inutili che sbattevano davanti al muro. Pensava ancora a Simone che dormiva da sola chissà dove. La mattina prestissimo faceva sempre freddo, ed una volta tanto non sentiva dentro di voler abbracciare, ma di voler essere abbracciato. E per la prima volta non confondeva quel desiderio ad un'umiliazione.
Perché il bastarsi non è in concorrenza col desiderio d'averla accanto. L'errore madornale sta nell'alienare altrove un punto di ancoraggio alla vita che è singolare, individuale e talmente problematico da non ammettere altri carichi in groppa su questo delicato equilibrio. Ma tenersi stretto a quella mano che spazzasse via una parte di quella solitudine, no, di quello sentiva un gran bisogno.
E quando sentiva montare il silenzio, ed irrompere la solitudine era solo a Simone, e soltanto a lei, che pensava.
La sentiva riempire quelle strade e quel riposo. La sentiva in tutta la sua assenza che affollava quel suo vuoto. La sentiva mentre al buio d'una notte più acerba un po' lo canzonava e un po' lo arginava. Come se delle volte lei si mettesse una mano davanti agli occhi per non ascoltarlo. Perché voleva mantenere la coscienza di ripararsi, ma allo stesso tempo voleva incontrarsi in quelle parole.
- Ma che diavolo c'è su quel libricino che ti porti sempre appresso? - tornò ad esistere Mario.
- Un manuale di istruzioni, lo aggiorno io.
- E funziona?
- Per una vita da stronzi, forse sì. Non lo so, non è il mio caso.
- Ma ti ci attieni?
- No.
Mario si avvicinò con un altro bicchiere d'acqua tonica.
- E quando ti muovi al di fuori del manuale, funziona?
- Non lo so. Non mi è dato di capirlo. Oppure lo so, e faccio finta di non vedere per non starci male. Oppure è tutto l'opposto. Chi cazzo ci capisce più niente... - ringraziò alzando il bicchiere e lo vuotò d'un sorso.
- Dimmi un po', ma che ti senti preso in giro?
- No, macché. Ci provassero... Nessuno mi prende in giro. Si gioca un po' probabilmente, e faccio finta, ma io ci indovino. Non sono mica scemo.
- Tu pensi troppo.
R. lo guardò. Si tolse gli occhiali. Afferrò il bicchiere fissando un punto imprecisato nel muro. Poi i punti aumentavano, e aumentavano i rapidi guizzi delle sue pupille. Uno strano bollore gli si colorava sul volto. Picchiava lentamente ma incalzante il bicchiere vuoto sul tavolo.
Poi si fermò. Parallelamente Mario che aveva notato con crescente affanno questa mutazione in R. si tranquillizzava. Poggiò sulla fronte la pezza umida e abbassò lo sguardo.
R. riprese il bicchiere vuoto.
Lo lanciò oltre la testa Mario con inaudita violenza.
- Ma vaffanculo. - urlò.
Mario si spaventò al tonfo d'un bicchiere che non si ruppe. E restò basito a guardare.
R. s'alzò e si diresse verso il bancone. Guadagnò la posizione della cassa vicino alla quale c'era il bicchiere a terra. Lo raccolse e allungò un braccio sulle bottiglie che avevano dissetato i vizi degli ultimi avventori, e che Mario non aveva ancora riposto.
Versò qualcosa che non profumava nel bicchiere ancora intatto. Bevve in un sol sorso.
Mise una mano in tasca e cavò delle monete che lasciò davanti alla cassa.
- Io non ho bisogno di pensare. - disse - io le cose le so senza pensarle.

Uscì dal bar e ripose la pila delle casse di birra così come l'aveva trovata. Ascoltò un po' del racconto di quell'alba che faceva a pugni con le nuvole. Un fresco sorriso gli spalancò la faccia. Ed era la risposta a tutte le burrasche.
La differenza era che quelle burrasche facevano spazio ad un ristoro ancora più luminoso. Che quando si è tremendamente complicati si pensa a quanto debba dar fondo il male e la sensanzione di galleggiare sulle intemperie. Ma non si pensa a quanto è più profondo il mare. A quanto è più luminoso il sole. A quanto è più caldo un abbraccio con chi svuota la vita di tutto il resto, quando arriva anche solo per un minuto a bussare all'uscio della tua trasparente reticenza. A quanto fanno più male i pugni ma a quanto son più soffici le carezze. A quanto tutto è estremo, folle, esaltato e vibrante come un brivido che graffia ogni lembo di pelle.
"Ma perché non mi parli, perché le mie parole cadono al suolo senza colpire, e senza neanche rompersi, come quel bicchiere."

Prese il telefono intanto che il cielo schiariva e il venticello si improfumava di aghi di pino. Trovò il numero di una persona che aveva cacciato fuori a calci dalla sua vita.
Senza sapere perchè prese a far squillare quel numero.
- Ehi, mi senti. Come stai?
- ...
- Lo so ti sveglio. Scusa - disse con voce seccata.
- ...
- Che fai dopo? ...Senti non cominciare a fare quella voce di cazzo che vuole fingere di trattarmi con cortesia. Se hai da mandarmi a cacare, fallo sinceramente.
- ...
- ...Non ti ho chiamato per sapere come stai. Non me ne fotte un accidenti di niente della tua vita.
- ...
- ... Hai da fare dopo? Passo a prenderti al posto di una volta?
- ...
- ... Non hai capito un cazzo, non ho alcuna voglia di parlare. Che voglio fare? Voglio solo scopare. Senza se e senza ma, senza dirci ciao, senza dire niente. Con la stessa merda da sconosciuti incatenati l'un l'altro con cui abbiamo vissuto cinque anni fingendo di conoscerci un po'. Però stavolta ti infilo con quella indifferenza che ci riconcilia almeno nel rispetto di essere sinceri, una buona volta. Si scopa. E poi torniamo a maledirci reciprocamente per l'eternità. Se ti va rispondi subito, sennò va' al diavolo anche stavolta.
- ...
- Ok, va bene. Vattene a fanculo tu, e tutta la razza tua. Stronza.

R. non rimpianse. R. si sedette su una panchina di cemento sporca di resina. I suoi jeans si sarebbero rovinati. E attendeva Venere alta a sud-est.

"Dove sei, Simone? Perché non mi dici niente, perché...  io ti..."

Se la spezzò in bocca quella parola. Perché era limpidamente vera. Pianse. E sorrise.

domenica 29 giugno 2008

Comprehend







Avrei dovuto capire più di tutti.
E invece non ho capito niente.
Forse non è vero.
Forse ho capito, però... come con lei, avrei potuto fermarla davanti alla stessa porta.
Lui si è voltato, mi ha guardato, ed io ho chiuso la porta e ho cancellato tutto.
E ora non c'è più niente, niente, niente.
La scala di casa sua, la segatura per terra, niente. I libri per terra, la portinaia...
Avrei dovuto fermarli.
Volevo bene a tutti e due, ma non sono stato capace di imprigionarli dentro questo mio bene.
Era la mia idea di libertà.
Pensavo che ognuno ha il diritto di vivere come gli pare. Ma che libertà è morire?
Ma è successo? È successo davvero? Perché io non ci credo...

Quest'erba fresca,
e nessuno parlava.
Solo qualche rumore,
senza storie e memoria.
Su un pugno di terra.

Buon anno.

lunedì 23 giugno 2008

Am F C G - Am F C E



Am  F  C  G
       
Am  F  C  E

Am  F  C  G
       
Am  F  C  E




- Che palle, eh?

- Oh, sì...


- Già...

- È vero...

- Infatti, è così...

- Perchè?

- Vallo a sapere! Seeenti e...come va?

- Bene, e a te?

- Benissimo... Come mi sento ridicolo, come mi sento ridicolo a fare il bugiardo. Mi riesce così male... Che prendi?

- Non sai recitare, Alcor...Vino. Tu?

- Non dire cretinate... No, io ho smesso di bere. Prendo un Talisker.

- ...

- Ma poi, vieni?

- Uhm. Non lo so.

- Ah.
Garçon!!! Un altro Talisker...

- Ma tu approfittane!

- Di cosa?

- La vedi quella che sta seduta dietro il tuo amico? Con la gonna bianca trasparente...

- Chi è? Io non vedo nessuno...

- Ma insomma... come devo fare con te? Posso uscire da qui dentro?

- Oh, non lo so, credo che sia complicato.

- Eh, lo vedo...

- No, secondo me non hai visto un bel niente, o fai finta di non vedere.

- Di che sa quel catrame che bevi?

- Senti l'odore...

- Mamma che puzza...

- Forte, vero?

- Ma che è, disinfettante?

- Oh, di quello sì che ne servirebbe parecchio...

- Ma i tuoi amici, stanno tutti qui... che... che...

- Non riesco a non voltarmi e guardarti dando le spalle al resto del mondo, lo sai.

- Ma perché fai così?

- Perché dovrei impormi di non farlo, invece?

- Perché non ci sono.

- Questo lo dici tu.

- Posso andarmene, dai?

- E perché? Di solito sembra che te ne vorresti andare quando accenno ad altre cose, ed a quelle ancora non ci sono arrivato... che fai, mi precedi?

- Non lo so... E poi tu non lo sai quello che voglio fare.

- Ah, benvenuta a bordo... il vascello del "non lo so" ti da il benvenuto, dolcezza.

- Che cosa è che non sai tu?

- Oh tante cose, ma dalle mie parti è tutto
più limpido, lo sai...

- E chi ti dice che non lo sia anche dalle mie? Magari abbiamo solo pensieri che vanno in direzioni opposte io e te.
 
- Tu sei arguta... che poi non so se io sono cieco, o sono illuso, o non lo so... è che sembra stia calando un silenzio strano... che rebus...

- Ma lo sai che non posso risolvertelo io. E tu poi... tu pensi troppo.

- Be' meglio, no?... ma dimmi un po'...

- Sì...

- Ma tu te ne vuoi andare da qui dentro? Famme capì...

- ...

- E tu non dici niente... "posso andare?" Posso andare?! E vai... "Per favore te lo chiedo, davvero posso andare?" Certo che puoi andare, vai, vai pure... Vai.

- Non sai recitare, Alcor, te l'ho detto.

- Non dire cretinate, te l'ho detto. E ringrazia che non t'ho messo un nome, e non te l'ho nemmeno chiesto, come per il sogno dell'altra volta, "Adriana".

- Ma perché fai così?

- Così come, scusa?

- Dici queste cose... Non mi convinci.

- Non ti convinco. Ma stiamo parlando della stessa cosa io e te?

- Non lo so. Tu ci stai pensando qui.

- E già. Un altro Talisker!!!

- Che palle così, eh?


- Oh, sì, è una vera tortura... per me, pensando a te. Tu invece... Chissà che ... Ma sarà colpa del fatto che scrivo, che non riesco a star zitto e buono senza far niente? Che casino... ma tu proprio questo rumore non lo cogli? Niente, non te ne importa niente...

- Ma che stai dicendo?

- Lo sai come parlano quelli? Gli altri, gli estranei? Gli intrusi intorno a noi? Dicono agli amici: "me la son scopata", così dicono... che brutta espressione, possibile che si parli sempre e solo con le prime tre persone singolari? Io, tu, egli... mai che si parli con un: noi, voi, essi... quella resterà nel loro ricordo come colei che quello s'è scopata. Che cosa volgare... E vabbe'... Ma allora, dicevo, tu proprio non lo cogli?

- Che cosa?

- Questo... cacchio, lo sai! Non farmi essere esplicito! 'naggia, sempre 'sta cosa di dover spiegare... e il gioco delle parti finisce subito.

- Non lo so...

- E te pareva...

- Però ora tu devi svegliarti, Alcor...

- Ancora un po', dai, non andartene... Dio quanto sei bella nell'ombra...

- Apri gli occhi,"imbecille"...

- Ma che cazzo...


...io sto sotto il vetro, guardo attraverso la mia finestra così lucente, vedo le stelle venir fuori stanotte... vedo il cielo splendente e vuoto sui bassifondi squarciati della città, e tutto è così bello stanotte, cantando la la la la la la la la la la la la la la ...
 



Comincia a suonare, che io ti vengo dietro...




Am  F  C  G
       
Am  F  C  E

Am  F  C  G
       
Am  F  C  E





Penso che... non mi si addica l'essere buono. Nossignore. Ma devo smetterla di dire parolacce. Per la fine di questo post utilizzerò allusioni in corsivo.

Spettinato is good.

Ehm... è una lega nord essere scozzesi, perciò ci andrò.

Quanto mi rendono contentissimo di vederli i capelli davanti agli occhi...

Quanto mi piacciono le foto in penombra.

Quanto mi piace. Punto.

Quanto è bello suonare ad oltranza Wish You Were Here dimenticandosi della partita dell'Italia. E finendo in un'altra dimensione.

Quanto è vero che mi sento uno sgualdrino con la penna in mano.

E poi mi chiedo: che acciderbolina significa partecipare ad un sondaggio online di Repubblica per votare "non lo so"? C'è qualcuno che punta una 44 magnum alla tempia di costoro costringendo a votare per forza? Se sì, allora che lo prema il grilletto!
Sennò continuate a non prendere posizione, e meritatevi Alberto Sordi. Niente contro la buonanima, ma è una citazione che fa scuola.

Questo blog del  nacque un 5 luglio. Come è dolce riconoscere di aver fatto una cazzata dopo quasi un anno.
Nacque. Passato remoto.



sabato 21 giugno 2008

Contromano



"...Credo che lui sappia che cos'è Roma, Roma è il popolo, farà qualche magia per loro per distrarli, toglierà loro la libertà e la folla ruggirà lo stesso. Il cuore pulsante di Roma non è certo il marmo del Senato, ma la sabbia del Colosseo, lui porterà loro la morte, in cambio lo ameranno..."


(cit. Il Gladiatore)


Fin da quando diventai un anarchico studentello con un rapporto di parasubordinazione nei confronti dell'esistenza, ho sempre avuto qualche difetto di orientamento nei confronti dei giorni della settimana. Questo perché raramente ho fatto eccezioni per godermi i sabato e le domeniche.

Ma il venerdì l'ho sempre percepito nell'aria. Forse perchè nacqui un venerdì.
Il venerdì da qualche anno si manifesta tramite piccoli consuetudinari appuntamenti tra cui spiccano: la pasta col tonno, le riunioni carbonare della corrente di partito, e sua maestà l'Economist che inaugura sempre la mia personale rassegna stampa online, a cui seguono: Financial Times, International Herald Tribune, Le Monde Diplomatique, International Der Spiegel... e poi la rubrica Contromano di Curzio Maltese su il Venerdì di Repubblica.

L'articolo di questa settimana è degno di interrompere la striscia squisitamente giovin-rousseauniana delle mie ultime settimane. Anche se "oggi" devo fare uno sforzo mastodontico a non ricordare alcune cose. Le ricorrenze assomigliano tanto ad ammuffite repliche di un eterno ritorno volto più alla nostalgia che alla speranza, ridotto a ridicola bancarella di media-shopping. Una specie di mega spottone che tuttavia mi sorge, solamente perché ho il vizio innato di contare le cose. Come se si fosse immersi in un enorme effetto doppler. Attendere è come contare i momenti che ti allontanano da un abbraccio vissuto, e contemporaneamente ti avvicinano non si sa a che cosa, se, e quando.

Rincorriamo Godot sul ponte.

Ma tornando a Curzio Maltese (che sforzo titanico), costui scrive a proposito di un Partito Democratico che, a detta del giornalista milanese, avrebbe come suo principale problema il non saper parlare all'Italia produttiva del Nord. E che a fronte di questa crisi di consenso "...il dibattito nel PD è tornato ai soliti temi cari alla nomenclatura. La forma-partito, l'adesione al gruppo parlamentare del socialismo europeo e l'incubo della scissione."
Continuando: "...Sono temi di un tale fascino che non si resiste a dire la propria. La forma-partito più bella, a mio parere, è la romboidale. Decisamente preferibile al cerchio come al parallelepipedo. Il gruppo cui aderire è quello delle socialdemocrazie equatoriali, senza dubbio. Per quanto, certo, anche il ceppo riformista ugro-finnico... A proposito di scissioni... - e qui viene il pezzo più interessante del Maltese - ...sono favorevole a tutte. La scissione della componente cattolica, ma anche di quelle luterane e buddiste. [...] Più gente d'apparato lascia il PD, meglio è per le sorti del centro-sinistra. Lo spettacolo ha un suo lato divertente. Francesco Rutelli, reduce dal trionfo delle Comunali a Roma, dove ha appena perso contro un candidato che aveva ricevuto il 35% dei voti due anni fa, minaccia scissioni e pone ultimatum? Evviva! Prego, si accomodi, good night and good luck. La Binetti vuol creare un partito antiabortista, sulle orme del successo di Ferrara? Fantastico. Andate e moltiplicatevi. I dalemiani vogliono riconquistare la leadership a partire dal territorio? Geniale. Immaginatevi la ressa dei ceti medi del Nordest per iscriversi ai seminari della fondazione Italianieuropei..."

Il resto è la solita cantilena a proposito della distanza che intercorre tra le esigenze del Nord produttivo e la sinistra onanista italiana.
Francamente io a questo problema non riesco a credere, non ci voglio credere! Perchè se il Nord incontra il favore degli imprenditori la ricetta economica protezionista di Tremonti, sarebbero confermate tutte le teorie che tendono a classificare il capitalismo italiano come "opaco" (Guido Rossi, 2005), e incapace di sostenere sfide mondiali a cui comunque non ci si può sottrarre, a meno che non si stia pensando di delocalizzare su Urano...

"Come papa Giovanni, quando incontro qualcuno per strada, non gli chiedo chi è, ma dove vuole andare... ma dove vuole andare questo PD?" (cit. Palombella Rossa)

Gli italiani votano con la pancia e ragionano con la pancia, e guardano tanta, tanta, tanta televisione. Una forte controinformazione è alla base di una forte politica di opposizione. Il problema è assolutamente culturale. Una cultura del Caimano che ha fatto diventare l'Italia un paese inequivocabilmente mediocre. E va bene la novità, va bene far fare una lavanda gastrica ai radical-chic figli di papà della sinistra estrema, che non sono serviti ad altro che a rompere il cazzo con manfrine senza logica storica. Ma dare piena legittimità ad un individuo che è ontologicamente responsabile della deriva etica degli ultimi 20 anni in Italia è stato un grande errore, caro Walter.

Noi siamo diversi, cacchio. Un liftato barilotto di merda come quello non mi umilierei neppure a guaradarlo. La destra italiana è la testimonianza inconfutabile della nostra superiorità culturale e morale, semmai qualcuno nutrisse qualche dubbio ancora. Lo so che da Berlinguer a Livia Turco siamo in fase pericolosamente calante, però c'è ancora un abisso, cavolo!

Finché non ci si libera di quell'individuo la nuova stagione che tu auspichi, caro Walter, è una pura illusione.

Come può una sola persona fare così tanti disastri? L'Italia è un paese vulnerabilissimo all'interno. Non esiste una radicata coscienza di popolo, e storicamente i ceppi popolari presenti hanno sempre vissuto in una logica di contrapposizione anziché di convivenza. L'Italia è un paese bastardo, nel senso più genuino del termine.
Abbiamo coltivato una profondissima propensione al becero individualismo, che non consente a nessuno di riuscire a badare fino in fondo a quello che esiste al di là del proprio naso. C'è sempre qualcuno che minacciosamente cerca di farci le scarpe, e pertanto si è pronti alla prevenzione. Piccoli esempi che Hobbes descriveva magistralmente in un saggio sulla semiologia del potere.
Necessitiamo di  essere minacciati, di avere un nemico che ci perseguita, per riconoscerci in una leadership che trae giovamento da inquietudini artatamente costruite.

Ed ecco montare la minaccia dei comunisti, della criminalità, degli immigrati, del potere sovversivo dei magistrati. Questioni su cui si può, anzi si deve parlare, ma solamente se si è scevri e intellettualmente onesti. Cioè, è impossibile.

Un popolo talmente sensibile alle minacce non dovrebbe tollerare un capo del governo così lontano dall'essere al di sopra di ogni sospetto.

La comunicazione è il problema. La manipolazione. Quella cazzo di televisione è il problema... le puttane catodiche che vi sollazzano l'inguine, ed i coglioni
spelacchiati da copertina che vi solleticano la vagina, sono il problema.
Eccome se me lo ricordo Piero Ricca che gridava a Fassino che il conflitto di interesse è il primo problema che c'è in Italia. È il fondamento della democrazia, il rispetto dell'intelligenza dei cittadini. Ed il buon Fassino che, giustamente, rispondeva seccato che questa non era la priorità. Certamente che per un popolo coglione (Trilussa) la libertà non è una priorità.
Ricevere la sacra pagnotta dopo essersi prostituiti al potere eversivo giustificato dal voto elettorale, questa è l'unica priorità che i cittadini riescono a percepire.

La "sicurezza", tema con cui ci hanno bombardato SOLO durante la campagna elettorale. Ecco i dati del Ministero dell'Interno - Dipartimento di Pubblica Sicurezza, che IO, cittadino non paraculo, ho cercato qua e là per capire in che cazzo di paese sono costretto a vivere da 25 anni. Il problema c'è, eccome, anche un minimo furtarello deve destare allarmi in una società sana. Ma niente che possa giustificare il clima da terrore che è stato creato per accrescere il panico e la tensione. La spettacolarizzazione del crimine, questa comunicazione da strillone del giornale della sera, è stata orripilante. Soprattutto in barba al rispetto delle reali vittime di questo stato di cose vergognoso.

State buoni cittadini, tanto adesso militarizziamo le città con i soldati a dirigere il traffico, a fare i posteggiatori, e spegniamo i riflettori sui vari stupri, omicidi etc... etc... cosicché vi sembrerà che il nano di Oz avrà sollevato tutte le vostre paure. E lui potrà finalmente tornare a pensare ai luridi cazzi suoi.
 
A rincorrere nemici immaginari, trascinando un popolo in questo conflitto permanente senza uno sbocco virtuoso. A far dilagare la visione funesta che "farsi i cavoli propri è meglio", che lo Stato debba essere solamente un intercapedine fra le legittime rivendicazioni dei singoli, senza porsi minimamente alcun obiettivo di miglioramente ed evoluzione della società.
Oh, quanto rimpiango Hegel... oh, come è difficile non essere severi, e a non essere a disagio con la maggioranza delle persone, in questa depravazione legittimata.

E tu, capitano, mio capitano, avevi teso una mano a tutto questo. Ed oggi ti svegli facendo, a mio modo di vedere, una figura ancor più ridicola...


War is Peace

Freedom is Slavery.

Ignorance is Strength.

buona notte, e buona fortuna. Italia.



- Ma cosa è successo in tutti questi anni? Ditemelo voi... io non lo so più...

- Incominciano a pesare le sconfitte...

- La nostra generazione, che cosa siamo diventati? Siamo tanto cambiati, tutti peggiorati... oggi siamo tutti complici!

Eh, ma perché tutti?! Questa fissazione... di dire: "tutti uguali, tutti complici..."

-
Siamo invecchiati, siamo inaciditi, disonesti nel nostro lavoro. Gridavamo cose orrende, violentissime nei nostri cortei... ed ora guarda come siamo tutti imbruttiti...

VOI gridavate cose orrende e violentissime, e VOI siente imbruttiti.
IO gridavo cose giuste, ed ora sono uno splendido 26enne!!!



brum... brum... (vespa in movimento)



 ...e torno a leggere Shakespeare.


venerdì 20 giugno 2008

Because the night






No, non urlate sobillando la bianca voce di un giorno bambino. Rapito al suo giaciglio dalla fioca luce d'un lanternino nascosto che non vi disturberebbe se foste lieti nelle vostre alcove.
Lasciate che io scriva per riempirmi di quel tempo che a voi ha spezzato l'insonnia.

Scrivevo silenzi, notti, notavo l'inesprimibile, fissavo vertigini. Vergando le espressioni strozzate durante il giorno dalla amara cognizione di vivere mediante parole melliflue, e per me fredde.
Nell'insufficiente sforzo di voler tratteggiare i guizzi dell'anima, già estranei alla voce che svilisce quel silenzio dove si sussurrano i migliori propositi.
 
Sostituirsi indegnamente a una mano, far secernere una lacrima e destarle un palpito.
Per rubare scaltro al suo volto una carezza di cui serbare il caldo ricordo tra le pieghe della mano, poter asciugare il mio pianto con la sua commozione, farle battere in seno quel mio tumulto che non so dipingere con nessun colore dell'iride, né con altre meticce armonie di pastelli.
Una sera, mi son preso la Bellezza sulle ginocchia. Ho steso corde da campanile a campanile; ghirlande da finestra a finestra; catene d'oro da stella a stella, e danzavo.
La notte non è mai stata tanto somigliante al buio pre-natale che aveva atteso sino a quell'istante.

Insegna alle torce come splendere. Sembra pendere, nella luce che le sogno sul volto, come ricca gemma all'orecchio d'una vestale, illuminata dalla luna piena in una mite notte sulle sponde di Illiria. Ma è bellezza di un valore immenso che mai nessuna cosa avrà, troppo preziosa per la terra.
Come colomba bianca in una lunga fila di cornacchie sembra la fanciulla che canta, tra le compagne che recitano a memoria il loro salmo indisponente.
La voglio vedere dopo questo ballo; come sarei felice se la mia mano rude sfiorasse quella sua. Ha mai amato il mio cuore? Negate, occhi! Se mai ne foste capaci: che prima di quella notte non avevo mai veduto la bellezza.

Perchè la notte cancella ogni riga tra i mattoni del muro, e lima ogni incavo prodotto dai pugni lì sferrati. Trasforma una distanza che sembra ancora infinita, nonostante l'abbia percorsa, in una pagina che si sfoglia in un nonnulla. Come l'intervallo maestoso che giace tra un saluto interrotto bruscamente, e una mattina ventosa che non consente allo sguardo di ripararsi dietro ai sottili capelli che lo investono di profili persuasivi e sfuggenti, come un orizzonte colorato da un'aurora che monta come un pallore incalzante. Una timidezza ed una reticenza che risalgono abbracciati col giorno.

Ma la notte, lasciate che scriva... lasciate che viva, lasciate che il sonno avvolga la carne di chi non ha pensieri che scorrono come cavalli impazziti attraverso i sentieri lungo i quali bolle un sangue che conserva un dolciastro sapore sulla saliva.
Lasciatemi perdere, se non smetto di contemplare. Lasciatemi perdere, se a bruciare saranno le mie  pupille, e a farsi contaminare dalle radiazioni saranno i centrioli delle mie cellule.
Lasciatemi perdere se mi sorge spontaneo ringraziare le gambe indolenzite, e un livido dolorante sul piede destro rimediato da un pestone, che mi strappano via la quiete a cui attecchisce normalmente il sonno.

Perché nel sonno involontario si scivola via nella scommessa di un sogno, guidato sì da un desiderio, ma non dalla smaniosa volontà di esserci fino in fondo. Restare zoppamente svegli a disegnare la propria immaginazione è più rassicurante, confortevole, più semplice e voluttuoso che affidarsi agli incerti esiti di un sogno.
Forse è più vile. Ma non lo si può comprendere il sollievo.
Non è mai notte quando scolpisco il tuo volto dinanzi a me; né che la strada sia spopolata e solitaria, perché tu per me sei il mondo intero; e chi potrà dunque dire che io sia solo, immaginando che il mondo sia qui a guardarmi?

Salterà la sveglia alle 6.00. I mugugni diventano fastidiosi ronzii che innescano dormienti propensioni alla fuga, o alla strage. Scrivere su un taccuino di notte alla penombra luminiscente che da fuori giunge, è un nuovo modello recanatese senza gobba, ma con la sola cecità prossima ventura.
Giunge un suono plumbeo di monetine raccolte in secchielli, probabilmente rinvenienti dalle macchinette videopoker del bar.
Tutti i suoni diventano più aguzzi, e i pruriti più cacacazzi.
Mi fa male la caviglia, e mi accorgo di avere un piede.
Capperi mi batte qualcosa nel torace, perfino a me...
Non vado più a correre al mattino prematuro. Non riuscirò nemmeno a lavorare.
Dannate batterie al litio.
Bene così.

E tu, vivi. Vivi per essere la meraviglia e l'ammirazione del tuo tempo.


A te piega il cuore in solitudine
esilio d'oscuri sensi
in cui trasmuta ed ama
ciò che parve nostro ieri,
e ora è sepolto nella notte


S. Quasimodo

mercoledì 18 giugno 2008

The Last Cicchétto






Da: XXXXXX
Inviato: mer 18/06/2008 13.17
A: Alcor
Oggetto: (nessun oggetto)


Non ti preoccupare, non ti odierà nessuno perché nessuno capirà niente.

 

Ma com cazz scriv????


 

Il secondo post è pure peggiore del primo. Uagliò, un po' di aria alla frase la vuoi far prendere? E abbassa il vocabolario, che sembra di sentir parlare un burocrate. Sciagurato!!!!!


La frase che ricorre maggiormente nel film Vanilla Sky è "Apri gli occhi", David, in quel caso.

Come un mantra che fermenta da tutte le immagini che mi si parano dinanzi, c'è invece una voce che a me ripete "torna padrone della tua vita, torna padrone della tua vita, torna padrone...". Che se dovessi assegnare un tono a queste parole probabilmente sceglierei quello rassicurante e brillante di un'avvocatessa affaccendata che scrive sempre diffide.

Ma il tema "voce" è un tema delicato. Da maneggiare con discreta cautela, come un calice di cristallo che sminuzza un raggio di luce.

Soffro ignobilmente di vertigini, più in macchina che a piedi. Attraversare un ponte è sempre stato un problema, devo farlo rapidamente senza badare a quel che ci sta in mezzo, e raggiungere rapidamente l'estremità opposta.
Così trascorro queste strane giornate: non vedendo l'ora che giungano al termine. Per vedere che cosa succede la sera, e per staccare un'altra tacca sulla stecchetta del tempo, e comprendere in fretta che cosa ci sta dall'altra parte del ponte.

Questi giorni sono così. Aspettando un Godot che scappa su un ponte sospeso tra l'impellenza delle mille cose da fare, e l'indolenza maieutica delle cazzate che scrivo.

"Tornare padrone..." mi sembra di risentirla 'sta specie di oracola mentre racconto
le mie recenti diatribe professionali al compare che guida alla mia sinistra.
Ritengo che lui non sia un gran pilota, lo appuro dall'eccessiva scazzosità con cui affronta le curve di una tortuosa strada di campagna che avrebbe dovuto condurci in una bellissima città barocca.
Non sarà d'accordo, ovviamente.
In compenso, tutto questo mi ha consentito di ascoltare a palla le original songs di Hokuto No Ken (Ken il Guerriero) durante il tragitto. E debbo devotamente ringraziarlo.

Che se poi ripenso a quell'infausto giorno... Evitare che le migliaia di fogli che organizzavo in tutta fretta sulla cattedra potessero svolazzare via, impose che i ventilatori fossero rivolti inutilmente dove non avrebbero reso l'utilità per la quale sono stati ideati e comprati. Ossia impedire che il caldo torrido trasformasse le mie ascelle in una specie di falla delle condotte idriche, e rendesse il mio abbigliamento pesante quanto una massacrante tuta da palombaro.

Foglio 1: nome, cognome, matricola... e risposte. A seguire: foglio 2... 3... 4... 5... 6... 7... Mancava un'ora e dovevo preparare oltre un centinaio di tracce per altrettante avide menti che in quegli stessi momenti stavano già affollando l'androne antistante le aule. Non ce l'avrei fatta... Ecco dunque  sopraggiungere l'Incastratore di quella mia mattina, in compagnia di un'assolutamente piacente mia collega che avrebbe condiviso con me quella bella mattinata, col tasso di umidità al 90%.
E quanto mi secca salutare col bacetto, e sfiorare qualsiasi membra femminili, quando so di essere già in uno stato avanzato di discioglimento e dissipamento di liquidi epidermici. Mi consola riconoscere che anche le donzelle sudano, e che il loro sudore non è meno fetente del mio.

E poi gli approcci sudaticci dovrebbero essere più eccitanti, cavolo. Anche quando non concludi niente.

E così inviarono un messo celeste in mio soccorso. Non ad aprire le porte sbarrate di Dite, ma per spillare i fascicoli che stavo lentamente ordinando. Si trattava di un luminoso esserino sugli 1,65, capelli lunghi ed ondulati color castano chiaro, ed occhi verdi quasi smeraldo. Non magrissima, e bel culetto. E bel fisichino da clessidra reso ancor più insolitamente provocante da una maglia in verità molto casta e discreta in lana fine, che però rendeva i contorni morbidi e imprecisamente sfumati come un dipinto dei macchiaioli.
Che ci vuole occhio per alcuni particolari che sfuggono al generalizzato impeto scimmiesco.
Insomma, da condividervi poeticamente una scopata senza tanti indugi.
Lì per lì, dimenticandomi del mio ruolo cazzoso, dimenticandomi che mancava un'ora all'inizio dell'esame, dimenticandomi delle patetiche sovrastrutture accademiche, dimenticandomi del codice etico, dimenticandomi che sono un stronzo matricolato in certe situazioni... ma non dimenticandomi che mi trovo mentalmente, "miocardio-mente", e universalmente dall'altra parte del creato, non mi sorge nemmeno lontanamente il dubbio se sia opportuno o no instaurare un dialogo preliminare all'intento, da cosa nasce cosa, e il tempo la governa (Machiavelli, La Mandragola).
E, ovviamente, lascio perdere.

Pertanto, signorina, foglio 1... 2... 3... 4... 5... 6... 7... e facciamo presto. Era impacciata, le fotocopie sballate le aveva fatte lei, mi chiedeva scusa sorridendo, mentre il mio braccio le passava ora davanti, ora di dietro per prelevare celermente i fogli accatastati, configurando una specie di circuente danza tribale nella quale costei era al centro.

"Ma sei un ricercatore? E di dove sei? E che fai? Ma in che consiste il tuo lavoro? Non hai mai pensato di trasferirti?... E come ti trovi nel tuo paese? Quando vieni qui solitamente? A che ora finisci?... E questo?... E quello?... E ma porca puttana, no eh!!!"

Piccola creatura che vieni a turbare tutto il mio fragilissimo equilibrio sopra la follia... che c'avevi pure la tipica parlata di un pezzo di provincia il cui dialetto mi sta sul cazzo... non si fa così, non è giusto!

E mi dici che t'hanno pure pubblicato la tesi,
e sei pure simpatica... (lo so, oltre alle tette sono solito apprezzare il curriculum vitae, le espressioni impercettibili del viso che fissa il vuoto, e la grammatica utilizzata, come parla... e, naturalmente, le scarpe).
Una donna imbambolata, immersa in un pensiero, come se si stesse nascondendo dietro ad un bicchiere d'acqua, cancellando il mondo attorno a sé in pochi istanti, è una dei misteri più affascinanti che possano popolare la realtà.
Ordino un blocco da cinquanta fascicoli mentre tu, fanciulla, continui a parlarmi, e a quel punto io ti interrompo. Ti tendo la mano e mi presento, diamoci un nome, almeno. Allungo il braccio senza guardarti in faccia. Che tanto tu te ne freghi del mio muro.
Mi fai domande personali e mi conosci da appena 2 minuti... i fogli, per la miseria! Devo lavorare! Solitamente il rompicoglioni lo faccio io, ci sarà un motivo se sto in aspettativa sessuale non retribuita, cazzo!
Che puoi essere pure l'angelo più leggiadro, io non volo, non ora, non così in alto quanto... e non mi metto nemmeno a fare cose strane rasoterra, porc... Fammelo scrivere da qualche parte... no, non ho l'agendina con me.

Sì, è che in questo pezzo di vita non si può. Non ci riesco, pur sforzandomi di impormelo razionalmente. In un'altra vita, forse, fatti trovare. Dico 'sta stronzata delle altre vite ad ogni più o meno inetta rinuncia, al punto che sto seriamente pensando di diventare buddista e attendere la metempsicosi con ardore, per fare tutto quello che non faccio ora per ovvie ragioni.
E scaravento il tutto in nervosissimi passeggi tra i banchi di coloro che tremano ai miei sguardi indagatori volti a scovare foglietti ed appunti celati a tradimento.

Devo scappare e tornare al chiuso del mio regolare lavoro, alla gabbia rigida dei miei impegni puntalmente disattesi. Ma l'Incastratore ("L'Incastratore" sarebbe un titolo da suggerire al maestro brunoliegibastonliegi...) mi chiede di restare per aiutarlo in altre mansioni che non mi competono per nessun vincolo amichevole-professionale-contrattuale-religioso-parentale, e molto candidamente, fregandomene di stare al cospetto di un capo a cui sarebbe opportuno e previdente lustrare le scarpe con la lingua, dico: No.

Imprevedibilmente shockato dal gran rifiuto, costui mi offre un bitter rosso con stuzzichini. E lo congedo. Saluto col canonico bacetto la collega piacente senza tanti pensieri, dopo aver notato una macchia di sudore sulla sua canotta verde militare, in prossimità dell'orlo soggiacente l'ascella.
Io ero più lindo.

Ma non me l'ero scampata del tutto. Perché dopo qualche giorno (avantieri) lo schock di costui sparisce e l'invettiva postuma non è tardata ad arrivare. Ma chi se ne importa... ormai.

Raccontavo di queste idiozie, mentre io ed il mio compare sguazzavamo tra le curve di un sentiero creato nei secoli dalle mandrie bovine che calpestavano la terra tra i boschi. Capisci cosa è stata la Democrazia Cristiana per 50 anni quando vedi che ci si è limitati ad asfaltare quei percorsi assurdi anziché fare strade degne di questo nome, e che ci metti più di un'ora per coprire una distanza inferiore ai 40 km in linea d'aria.
E a proposito di bovini in transito, ecco che durante lo slalom dell'esproprio vilmente inespugnato, spuntare improvvisamente una mucca dal ciglio della strada e prendere possesso della corsia un istante prima che si riesca a scansarla per evitare un tragicomico impatto.

- Cazzo! Ci avrebbe distrutti! Ma da dove cazzo esce 'sta vacca?

- Merda... che morte cretina che avremmo fatto...


E penso: e se io sparissi? Così, improvvisamente, senza avvisare, sparire improvvisamente senza aver scritto un'ultima minchiata con tanto di firma autentica, nome e cognome, e pure una foto... nell'ultima minchiata ci sta tutto. Non sarebbe stato necessario... in ogni caso. Cazzo, non T'avrei nemmeno salutata nonostante le scopate mancate e i giorni lieti che da tutto questo promanano. E le tante parole versate... che poi così importanti ed influenti a me, sinceramente, continuano a non sembrare... sarò cieco io, che cazz n' sacc...
Uccisi da una mucca 'mbriaca, bizzarro e coerente. Degni d'esser seppelliti a Père-Lachaise con uno scotch whisky in altorilievo come epitaffio.

Che un angolo di dolcezza frammista a nostalgia/solitudine/attesa, ed altro, insomma nù casin, mi protegge avvolgendo tutto di un fine che mantiene aperti gli occhi anche quando vorrei sognare e basta. Che lì si concentra un po' tutto quel che occorre per rendere il soggiorno meno involontario, nonostante
me la figuro coscenziosamente l'ombra di un cazzinculo, e incoscientemente la ignoro.

Ma l'altro giorno ho corso meno, e sentivo la mia laringe implorare vendetta.
Occorre una rapida rettifica. Basta a fare cazzate tipo trascorrere il secondo tempo di una partita fondamentale dell'Italia seduto al contrario su una sedia in una veranda, con una Marlboro nella destra ed una Carlsberg nella sinistra, in attesa che sorgesse Giove e tramontasse Marte. Basta ad ascoltare canzoni di merda in inglese a tutto volume nel primo pomeriggio con la scusa di dover imparare la lingua. Basta a fare casino sempre e comunque sguazzando nel divertimento inutile di chi non ti capisce mentre parli difficile, manco se stessi compilando un verbale. Basta cicchetti e basta Johnnie Walker Red Label, il mio preferito da un mesetto a questa parte.

Sì, un cazzo di mese preciso. Sono un orologio svizzzero pure quando me le scordo le cose...
Torna padrone... padrone... padrone... ma sono davvero canzoni stonate che ascolti in differita, questi miei sciocchi pensieri?

E poi basta litigare coi più alti in grado solo perché non sanno dare risposte alla mia altezza, devo assolutamente imparare ad usare la pietà, ed essere misericordioso dei limiti altrui.
Tutto questo cambierà, io cambierò, è l'ultima volta che faccio cose come queste, metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo più o meno la vita.
Già adesso non vedo l'ora, niente sigarette e domani di corsa dal barbiere a potare il cespuglio da spaventapasseri. Profumo Dolce&Gabbana originale, e non più versioni
proletarie identiche ma tarocche da 20 euro al litro. Chiamare il dentista, e niente più parolacce quando gioco a pallone e mi fotto i gol davanti la porta.
Torna padrone della tua vita... torna padrone della tua vita... torna... torna... Diventerò esattamente come voi: il lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il cd e l'apriscatole elettrico, buona salute, colesterolo basso, polizza vita, mutuo, prima casa, moda casual, valigie, salotto di tre pezzi, fai da te, telequiz, schifezze nella pancia, figli, a spasso nel parco, orario d'ufficio, bravo a golf, l'auto lavata, tanti maglioni, natale in famiglia, pensione privata, esenzione fiscale, tirando avanti lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai.

Sperando che sia per colpa di una vacca a sorpresa, e non per essersi spaccati la testa scivolando su una merda di vacca, mentre si rincorre Godot su un ponte.

PS: tra le quattro ministre copulerei volentieri con la Gelmini. In un'altra vita.

lunedì 16 giugno 2008

Qualcuno che (sor)ride



La questione Sicurezza sta diventando il grimaldello con cui gli scassinatori della democrazia stanno lentamente mettendo le loro perniciose grinfie sulla nazione, il tutto sotto lo sguardo distratto del popolo, e con il solo Napolitano pronto a manifestare qualche timida perplessità a riguardo.

Tutto questo facendo leva sulla paura della gente. Un sentimento penetrante la paura, che genera impotenza, smarrimento, e l'insolita prontezza ad inginocchiarsi devotamente senza farsi molte domande ai piedi del titolare del monopolio della violenza legittima, l'organo che giusnaturalisticamente ha il dovere di garantire la sopravvivenza del corpo sociale, lo Stato nelle sue articolazioni, ed in particolare il Governo.

La testa del corpus, secondo la tradizione organicistica di derivazione Aristotelica  dell'organizzazione politica di una nazione. Ma cosa succede quando la testa non persegue le stesse finalità di sussistenza del corpus, ma si industria affinché quest'ultimo diventi solamente un viatico per cristallizzare il potere acquisito, o peggio per arrivare alla conquista del potere?
L'organismo è destinato a morire. Semplicemente, fagocitato da se stesso e dalla profonda incoerenza che vige fra i suoi organi. La morte in questione può essere un processo lungo e difficilmente sviscerabile nelle sue dinamiche, ed ha come prima illustre vittima la libertà.

Asservire ai propri capricci le istituzioni, pertanto lo scheletro di un corpo, vuol dire scalfire quegli organi naturalmente predisposti alla tutela della libertà dei cittadini. Quelle istituzioni sorte col sangue depositato dai secoli di storia, dalle lacrime versate non raccontate dai libri, dai sacrifici dei chi non vedrà il proprio nome su un'enciclopedia degli eroi, dai fautori e dai combattenti che hanno portato a compimento processi secolari di maturazione della civiltà cristallizzati poi in quei pilastri che tuttora rappresentano l'architrave del diritto, per dirla alla Durkheim. Effervescenza di un'anima trasformata in radici.
E quando queste radici riescano ad essere così malleabili...

...vince Berlusconi che continua a fare i cazzi suoi, e vaffanculo ai poveri stronzi.

Stavo scrivendo un trattato minchione per provare ad esorcizzare l'emergenza democratica che stiamo vivendo.
Non mi ci trovo più a scrivere di queste cose, tanto più dopo che giustamente l'Economist bastona il PD ed i ricci morti che lo gestiscono.
L'altro giorno mentre correvo ho visto per strada 3 ricci investiti spappolati sull'asfalto. Dovevano essere morti ad occhio e croce lo stesso giorno. Dacché deduco che i ricci sono tra gli animali più fessi e distratti che esistono, dopo gli uomini, ovviamente. Ma stavo giustappundo considerando che...


La verità è che non me ne importa davvero più nulla

tanto non è una cosa seria...





...e quanto vorrei un Monte Tabor di Rousseauniana memoria.


Ci sono dei momenti che ho voglia di star solo  rinchiuso in una stanza a pensare ai fatti miei.
E almeno in quei momenti la mia disperazione  è troppo più importante, esisto solo io.

Vi confesso che in questi momenti io me ne frego di quel che succede, me ne frego della politica, della gente che muore ogni giorno. Non sopporto i discorsi del baretto me ne frego, me ne frego, me ne frego… In questi momenti vedo solo la mia vita, e la mia sofferenza è la mia sola verità.
In questi momenti, cari compagni ributtatemi nella realtà.

Oppure, cari compagni, ficchiamoci tutti insieme in quel baretto, e restiamoci allegramente finchè morte non ci separi...






Well, show me the way
To the next whiskey bar
Oh, don't ask why
Oh, don't ask why

Show me the way
To the next whiskey bar
Oh, don't ask why
Oh, don't ask why

For if we don't find
The next whiskey bar
I tell you we must die
I tell you we must die
I tell you, I tell you
I tell you we must die

Oh, moon of Alabama
We now must say goodbye
We've lost our good old mama
And must have whiskey, oh, you now why

Oh, moon of Alabama
We now must say goodbye
We've lost our good old mama
And must have whiskey, oh, you now why

Well, show me the way
To the next little girl
Oh, don't ask why
Oh, don't ask why
Show me the way
To the next little girl
Oh, don't ask why
Oh, don't ask why

For if we don't find
The next little girl
I tell you we must die
I tell you we must die
I tell you, I tell you
I tell you we must die

Oh, moon of Alabama
We now must say goodbye
We've lost our good old mama
And must have whiskey, oh, you now why


giovedì 12 giugno 2008

Mal di testa






Mi ricordo la mia meraviglia e forse l'allegria
di guardare a quei pochi che rifiutavano tutto
mi ricordo certi atteggiamenti e certe facce giuste
che si univano come un'ondata che rifiuta e che resiste.
Ora il mondo è pieno di queste facce, è veramente troppo pieno
e questo scambio di emozioni, di barbe, di baffi e di kimoni
non fa più male a nessuno.

Non so che cosa è successo a queste facce, a questa gente
se sia solo un fatto estetico o qualche cosa di più importante
se sia mio ripensamento o la mia mancanza di entusiasmo
ma mi sembrano già facce da rotocalchi o da ente del turismo.

E visti alla distanza non siete poi tanto diversi
dai piccolo borghesi che offrono champagne e fanno i generosi
che sanno divertirsi e fanno la fortuna e la vergogna
dei litorali più sperduti e delle grandi spiagge della Sardegna.

E anche se è diverso il vostro grado di coscienza
quando è moda è moda, non c'è nessuna differenza
tra quella del playboy più sorpassato e più reazionario
a quella sublimata di fare "la comune" o un consultorio.

Io per me, se c’avessi la forza e l’arroganza
direi che sono diverso e quasi certamente solo
direi che non riesco a sopportare le vecchie assurde istituzioni
e le vostre manie creative, le vostre innovazioni.

Io sono diverso, io cambio poco, cambio molto lentamente
non riesco a digerire i “corsi accelerati” da Lenin a l’Oriente
e anche nell’amore non riesco a conquistare la vostra leggerezza
non riesco neanche a improvvisare o fare un po’ l’omosessuale tanto per cambiare.

E siete anche originali, basta ascoltare qualche vostra frase
piena di nuove parole, sempre più acculturate, sempre più disgustose
che per uno normale, per uno di onesti sentimenti
quando ve le sente in bocca avrebbe una gran voglia che vi saltassero i denti.

Io per me, se c’avessi la forza e l’arroganza
direi che non è più tempo di fare mischiamenti
che è il momento di prender le distanze, che non voglio inventarmi più amori
che non voglio più avervi come amici, come interlocutori.

Sono diverso e certamente solo.
Sono diverso perché non sopporto il buon senso comune
ma neanche la retorica del pazzo
non ho nessuna voglia di assurde compressioni
ma nemmeno di liberarmi a cazzo
non voglio velleitarie mescolanze con nessuno
nemmeno più con voi
ma non sopporto neanche la legge dilagante del "fatti i cazzi tuoi!"

Sono diverso, sono polemico e violento
non ho nessun rispetto per la democrazia
e parlo molto male di prostitute e detenuti
da quanto mi fa schifo chi ne fa dei miti
di quelli che mi diranno che sono qualunquista, non me ne frega niente
non sono più compagno, né femministaiolo militante
mi fanno schifo le vostre animazioni, le ricerche popolari e le altre cazzate
e, finalmente, non sopporto le vostre donne liberate
con cui voi discutete democraticamente
sono diverso perché quando è merda è merda
non ha importanza la specificazione...

autisti di piazza, studenti, barbieri, santoni, artisti, operai, gramsciani
cattolici, nani, datori di luci, baristi, troie, ruffiani, paracadutisti, ufologi...

mercoledì 11 giugno 2008

Watching and listening out the window






my home, 11th June, 2008 - 18:40



Two things fill the mind with ever-increasing wonder and awe, the more often and the more intensely the mind of thought is drawn to them:

The starry heavens above me and Mark Knopfler within my ears.

None absolute moral law, just my own moral.

There's always the SUN, by now.



Alcor & Kant,
Critique of all the Reasons

venerdì 6 giugno 2008

Se





Questa canzone è solo una delle mie preferite in assoluto. La ascoltavo quando avevo più puro  il sorriso e lo sguardo genuino di mia madre.

Romanzarsi non è catartico, è umiliante e mi sono stancato. C'ha ragione la mia analista.

Non me ne è mai fregato nulla di chiamare in Irlanda. Questa è la verità. Ed è banale.

Non risolve niente, ma mi serve. Non lo cancello il blog. Perché we are all that we can leave behind... ma conviene staccare la spina; e per quanto tempo riterrò opportuno, mi imporrò di starci lontano. 

Non devo capire più nulla.

I personaggi restano senza l'autore, che è persona.

A quei 3, come dice qualcuno, a presto. ;-)

bye
Giuseppe

giovedì 5 giugno 2008

Stessa storia, stesso bar









Cameriera: Lei cosa prende, signore?

Alcor: Signore!?... (mamma quanto sei brutta... come ti permetti!? Non indosso manco la giacca!) uhm....vediamo un po' questa piadina n. 4... qui tra gli ingredienti è scritto "erbe", in che consiste? Marijuana? Lichene allucinogeno del Madagascar? Papavero da oppio afghano...

C.: No (sorride), è solo rucola, e origano, penso...

A.: Lo sa che in Afghanistan stanno riconvertendo le colture d'oppio in ettari di menta... Peccato... mi porti solo una Beck's allora. Merci..

C.: Beck's vecchia o nuova?

A: Come vecchia o nuova... se è vecchia e scaduta la bevi tu! (joking)

C.: Ma no! Si tratta di un modello nuovo! (divertita)

A.: Un "modello"... che è una macchina, un motorino, un motocarro, auto-articolato? Un autosnodato? Un autocaravan con l'impianto per lo smaltimento dei rifiuti organici???!!!

C.: (un po' sconvolta) Veramente è ...

A.: Una beck's "classica", per me, s'il vous plait.

Amico: Ma ti diverti a fare lo stronzo?

A: Decisamente.

Amico: Che ti stava pure guardando, quella...

A.: È un cesso, e non sa manco parlare; no, non me ne importa niente.

Amico: Che ti frega? Mica ti deve recitare la Divina Commedia?

A.: Non me ne sarebbe fregato niente a prescindere...

Amico: Ma che hai? Sarai mica innamorato?

A.: Ma domani andiamo a mare, o no?

Amico: Alcor, ma tu quando ti accorgi che sei innamorato?

A.: Non è che sia capitato molto spesso nella mia vita...

Amico: Eh, ma quando capita (tipo adesso), come te ne accorgi?

Arrivano le birre

Amico: 'Mbé! Rispondi!?

A.: Quando sono innamorato...

Amico: Eh...

A.: Te ne accorgi, quando (sorso), non ti riesci più a fare le seghe. Figuriamoci a guardare le altre...

Escono dal locale

Amico 2: Ehi ma guardate quanto è luminosa la Stella Polare... Alcor domani vai a correre?

A.: Sì.

Amico 2: Ci vado anche io...
non farti le seghe in maniera selvaggia prima di andare a correre, rischi di non farcela a tornare indietro...

A.: Ah.
Tu invece dovresti fartele. Perché vai talmente pesante che non ce la faresti neppure a partire... anche se sei già cieco di cervello...

Amico 2: Perché?

A.: Visto che scambi Giove con la Stella Polare. Quello è il Sud, idiota.




Breaking balls









La luce che non siamo








Un po' piove ed un po' smette. Giorni senza un forse. La freddezza della gente mi uccide. Senti il rumore di favole spente? Non voglio sentirlo. Vaffanculo.

Cadono sempre da nord-ovest grandi, grosse, grasse gocce inclinate che rimbalzano facendo tlon tlon per come sono pesanti, ma senza riuscire a bagnare nulla di quello che colpiscono. Il lentissimo fruscìo che producono mi ricorda mio padre che tentava di indurrmi la pisciata prima di andare a letto le prime sere dopo che mi tolsero il pannolino.
C'è un calore intimo che prosciuga tutto immediatamente, ogni traccia; si smacchia ogni cosa che miro svanire lentamente nell'alone piovasco che si ritrae scomparendo dal cerchietto timbrato vicino alla mia lucida scarpa nera. Non c'è già più testimonianza di quello che non son mai stato un attimo fa. La vita si ricicla e non bada a chi è fermo su una panchina a sperare che nulla venga mai perso nelle firme impresse dalla pioggia.





Una goccia di pioggia precipita tra tutto ciò che penso. Tamburello un motivetto sulla targhetta dell'artigiano che ha creato 'ste panchine lignee da museo dell'inutile indispensabile. La traduzione di "Comptine" dal francese è semplicemente "comptine", il resto del titolo della melodia di Tiersen lo traducete by yourself.
Mi cade addosso l'acqua e non mi tocca. Scrivo sugli ultimi angoli sgombri della mia agenda che una forma di capolinea dovrà pur esserci a tutto questo insopportabile vuoto.
Lo sai che colore han le nuvole basse?
Le parole che già qualcuno dovrebbe aspettarsi sono le più difficili da pronunciare. Aleggiano come fossero già state scritte. Ma il gioco delle parti... è il gioco delle parti.

Alla sera acerba c'è stranamente molta gente in giro. E le panchine sono tutte piene, i gatti si arrampicano in cerca di nidi sugli alberelli posti al centro di vasconi inguardabili, ridotte a simil-aiuole che qualche scellerato cultore della bruttezza molti anni fa fece installare. Erano state concepite come fontane, in principio.
E quando si giocava ancora a pallone in questa piazza era un problema recuperare la palla che finiva in quella fanghiglia stagnante sotto le grate delle vasche ricettacolo di sorci.
Una volta vi rovinai un pessimo modello di scarpa alta fatta di un tessuto simile al camoscio chiaro costato non so quanto, per recuperare un pallone da 500 lire che avevo maldestramente mandato lì dentro.

È sempre una questione di costo-opportunità. La VITA con i suoi surrogati, non ha un valore venale. Le cifre sono materia da gente molto triste. E a proposito del valore delle cose evito di tirar fuori l'aforisma più sputtanato di Oscar Wilde.
Un prezzo non ce l'ha un calcio a un pallone stando attenti a non farsi scoprire dal padre severo che teme che tu possa sudare e ammalarti al vento umido di novembre, non ce l'ha un viaggio azzardato, una bottiglia di Zabov, non ce l'ha una telefonata, non ce l'ha un cazzo di niente.
L'economia come teoria generale fallirà nel mondo perchè la si vuole fare a partire dai numeri e non dai sentimenti. Un uomo, per quanto sia oggigiorno razionale a metà e sensibile a un decile, non è una funzione di utilità, dentro questo mio petto non glabro non soffro di ipertensione cronica perché mi batte una Cobb-Douglas con l'esponente deviato... ed i sentimenti immotivati che ti fanno fare sciocchezze non si possono tradurre in una variabile proxy.
Non siamo regressori di una speranza che non raggiungeremo mai. Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni.

Quelle volte si gettavano i giubbotti per terra e si sudava a scazzottare per poter battere un rigore sotto la nebbia d'inverno. Pronti a scappare alla vista dei vigili urbani che oltre a sequestrare il pallone minacciavano multe alle nostre famiglie, perché eravamo rei di disturbare la canuta quiete pubblica dei vecchi assiepati.
Una volta mi ero fermato a guardare non so che cosa. Le solite abbabbiate. E non mi accorsi del sopraggiungere di un  vigile che già da lontano mi chiedeva le generalità per compilare un verbale che non sarebbe mai stato spedito. Perché chi io fossi l'hanno sempre saputo tutti, e per la stessa ragione ero immune da ogni giusto scotto per le ridicole malefatte sociali che ci imputavano. Barbari privilegi di chi è cresciuto nella casta infelice dell'aristocrazia dei porci. Scappai ugualmente perché volevo sentirmi come gli altri, e nello svoltare l'angolo mi ritrovai tra le braccia di un inatteso secondo tutore della legge che mi afferrò, e mi condusse di forza nel loro comando.
Mi sottoposero a un falso interrogatorio. E a 8 anni vivere di queste esperienze suonava bellissimo, avere un'avventura fuorilegge da raccontare! E invece no. Io ero uno "noto", mi chiesero solo di fare i nomi dei miei amici, con la minaccia di avvertire mio nonno e mio padre del mio sconsiderato comportamento da teppista del cazzo.
Non sputai loro in un occhio perché mi facevano pena già da allora.  E la mia saliva sarebbe andata sprecata. A che serve uccidere questa gente che è già morta...(cit. Erostrato)
Ne feci solo uno di nome, perché costui mi stava sulle palle. E diedi informazioni pure sbagliate. Perché l'ingiustizia ha una palpabilità disumana nell'azzeccare. L'ha sempre avuta, anche quando non è errato fare l'infame.

Ho la vaga sensazione che qualosa non va. Ottimo.
Il tabacchino non ha resto per le mie 50,00 euro che tiro fuori per un pacchetto di pall mall blu da dieci. Sono costretto a recarmi nel bar e a prendere il pacco da 20, e guardo il cellulare con la tentazione di fare una cosa che da giorni mi bolle dentro.
Come rendere straordinaria una cosa ordinaria? Io sono un maestro a fare questo.
Mi sembra più facile vivere lo straordinario in maniera ordinaria che il contrario. Ma questa è un'altra storia, non sono un santo per fortuna, e non ho mai letto le opere di Sant'Agostino che su questo topic trattano abbondantemente.
Sono tante le cose che non so. Ma ne ho consapevolezza. Conoscere è un vezzo d'elìte che non aggiunge molto alla propria apparente capacità di vivere ed essere felice. L'intelligenza è altra cosa, signori, è roba da paraculi. Io non sono intelligente.
Scegliere la vita non equivale a scegliere la felicità. E se la scelta non la fai, la subisci da qualcos'altro. Che ci si dimentichi di noi è il sogno più irrealizzabile.

Anche per le cose più spicciole e meno minchiose alle tenui sinapsi. Mi fanno i soliti squilli sollecitatori, gli altri, quelli che insistono e che aspettano sempre me per iniziare a pensare che è meglio cominciare a decidere di prendere in cosiderazione l'idea di non perdere tempo.
Li saluto quando sono ancora tutti fuori davanti la sede delle nostre infaticabili riunioni psico-politiche.
Immediatamente mi cade un'altra goccia d'acqua e realizzo che avrei fatto meglio a starmene a casa a far finta di scrutare quel manuale da 600 pagine di consigli su come guadagnarmi agevolmente il mio prezioso lascia-passare per Glasgow.

- Ciao tesorino. - Mi fa una che mi prende per il braccio.
- Passi il ridicolo "tesorino" con cui chiamerai tuo padre, ma lasciami il braccio...

Una goccia. E mi rendo conto che preferisco sfiorare la spalla di una persona con la mia mano timida e incerta ma vera, piuttosto che dover ricorrere alle carezze delle parole spalmate per sporcare l'altrui pensiero.

Effettivamente è ancora presto. Mi si sollecitava perché rompermi le scatole è un vizio largamente diffuso che tollero. Prendo il quotidiano di oggi, nella fattispecie L'Unità, e mi siedo alla panchina antistante in attesa che succeda qualcosa,  we are accidents waiting to happen... giusto?
No, la cronaca non mi piace, omicidi, stupri, incidenti, morti, perchè inondare pagine con cose che appartengono di default al genere umano. Queste cose non devono indignare ipocritamente perchè non ce ne liberemo mai... cerchiamo di perseguire il crimine e la violenza senza celebrarla agli altari della sorpresa e dell'evento... che squallore, neanche il male e la morte possono godere di un sano, indifferente rispetto. Preferisco la politica e l'economia, e penso che il vertice della FAO sia una buffonata di immani proporzioni. Se si cominciasse a rimodulare la PAC e a ridiscutere i trattati sull'agroalimentare in seno al WTO, forse questo genere di summit non sarebbe solo un pretesto per lauti banchetti tra pochi eletti che hanno crisi di fame di altro genere.
Il reato di clandestinità, invece,  è una palese violazione dei diritti umani, non è pensabile di utilizzare la ghigliottina contro gli irregolari abituè soltanto perché i procedimenti amministrativi d'espulsione e la certezza della pena in Italia sono dei feticci. E lo dice uno che è cresciuto nel mito di Robespierre. E poi... il prestito ponte ad Alitalia, oltre ad essere utile alla stregua d'un carciofo di chernobyl, è tanto lecito quanto io sono biondo e bello. Ryan Air e British Airways si incazzano, e fanno bene.

Neelie Kroes, facci sognare.

Ok, ho assolto al patetico dovere di chi si redime in un periodo in cui sta scrivendo sempre auto-stronzate ignorando che fuori c'è un mondo con problemi più degni di essere assaliti.
Ma a che serve? Uomini e no (cit. Elio Vittorini). Ed oggi io vorrei dirlo, no. Tanto... sono stanco di essere atteso. Quel poco per cui mi si può apprezzare è quanto più vorrei allontanare da me.

Prendo un foglio di carta dalla sede che lentamente si va popolando. Da quanto tempo non mi capita di prendere la parola in una assemblea?... mah, non importa. Non è uno spazio che mi contiene più.
Cade una goccia un po' più grossa. Impreco a denti stretti, e non pienamente convinti, qualche consueta bestemmia da posto in prima fila sulla piana dello Stige ipotizzando che non mi sia piovuta addosso acqua stavolta. Quando ci si siede su queste panchine di legno sotto gli alberi è facile sentirsi come il cesso degli uccelli che regolarmente scambiano la tua giacca per il loro vespasiano preferito.
Accendo la prima della serata e tiro su un fumo che respirerò poco. Sogno di un sigaro cubano.
Prima intestazione: "alla segr. del ...", seconda intestazione: "al segr. del ...", e "per conoscenza a..."; oggetto: "basta così".
Testo: "Non ho più nulla da dire, e da dare, buona fortuna."
Firmato: "G. F." Tanto per capire... le mie vere iniziali, quelle del pupo. Non mi firmo mai "dott." perchè non me ne fotte un cazzo.
Consegnerò questo foglio di carta scritto in un attimo decisorio estemporaneo al termine del palio dei maiali volanti a cui sono stato convocato a presenziare.
Ho sempre preso le mie decisioni così. Ponderate inutilmente per lunghi giorni, e poi graffiate nella mia vita in un unico decisivo strappo oltre il quale ho conosciuto solo ferite e qualche volta brevi sospiri d'aria pura.

Me lo metto in un portafoglio senza contanti ma con tanta cellulosa.
Mi piace conservare ogni biglietto di treno preso, e ogni ticket di metropolitana. Significano tante cose, sono segnati dalle sensazioni che recano impresse sopra. Ad esempio il biglietto dell'Eurostar al mio ritorno da quelle 3 settimane a Milano. Mi ricorda l'aver percorso tre volte avanti e indietro Corso Buenos Aires con mio zio prima del treno; oppure le mie solitarie attraversate che lì si sono concluse quel giorno con le opportunità professionali poi gettate alle ortiche per fare il ricercatore fantasioso... il lettore mp3 rotto dopo averlo comprato alla MediaWorld il giorno prima; nel treno del sempre maledetto-ritorno-a-casa, il signore di Brindisi che leggeva le quotazioni dei titoli e che ho battuto in una sfida a sudoku di Repubblica, livello avanzato. Lui rinunciò, io ci misi il tempo da Ancona a Pescara distrazioni paesaggistiche incluse; ed i metro ticket di tutte le città che ho toccato, poche, ma a fondo. Li porto nel portafoglio con me questi ultimi, insieme ai biglietti da visita che mi porgono persone che non contatterò mai. Avvocati, giornalisti, commercialisti, diplomatici australiani, istruttori di yoga...
Conservo i biglietti del primo teatro e del primo cinema ingiallito che condivisi con una persona evaporata così presto in una maniera impensabile... e conservo le ombre.
Conservo ogni cosa che possa essere per me la vita che ho scelto, o quello che non sono mai stato. E non sarò mai.

E la pioggia non mi bagna. Lo senti un aereo che porta lontano? Possesso. Non posso sentire nulla. Ho solo 13 canali di merda in tv tra cui scegliere.

Gocce che mi par di individuare nei rigagnoli nell'aria non perfettamente linda.
Non mi bagno, non mi bagno. Piove fuori, piove dentro anche se spunta il sereno e si accendono le luci. Ma non mi bagno.
E i maiali volanti si stanno scannando nella riunione.

Esco fuori e torno alla mia panchina, e lo aspetto. Non viene. Non si ingiunge su questa provocatoria posa di indolente sbeffeggiamento della sorte. No che non viene, il dolore.  Accendo la seconda, la penultima della serata. E lo cerco il senso di tutto questo. Dei rimpianti e delle rivincite, dei ricordi e delle persone lontane nello spazio e nel tempo. Mi chiedo che cosa rappresentano ancora, ciascuna di loro. Nulla.
Mi chiedo poi che pensano loro. Una vaga curiosità di cui, sì, non mi frega poi granché. Perché il cielo non cambia, e lo Scorpione il suo giro lo fa. Anyway.

Faccio poi una cosa di cui mi pentirò un secondo dopo averla conclusa.
Penso che dovrei prendere il mio telefono, e poggiarlo su un cassonetto anche se è un modello vecchio che non si prenderà mai nessuno. E andarmene in Africa.
Terza sigaretta.
Le dieci cose che più detesto in questo preciso istante: le inutili newsletters sui cambi di riferimento di Bankitalia; le convocazioni per l'assistenza agli esami; il pomodoro fresco rifilatomi a tradimento nelle pietanze senza preavviso; chi su msn intrattiene altre conversazioni mentre parla con me; i cani morti per strada mentre corro; rispondere a messaggi idioti, anzi ricerverli, perché tanto non rispondo uguale; quando mi si ringrazia; le donne che parlano esclusivamente il dialetto senza conoscere l'italiano corrente; discutere con chi presumo stia lì con la sola funzione di fregare l'ossigeno che potrei respirare io; rivedere i vecchi filmini con gente che è morta, come sta facendo quello stronzo di mio fratello in questo momento.

Si alimenta un po' questo schizzo di pioggia. E non arriva nulla, e le boccate stanno per terminare.  E parte di noi è anche nelle rinunce, e le rinunce sono parte di noi. Lasciamo una traccia anche in quello che non tocchiamo, in quello che non vogliamo.
In coloro che rifiutiamo. O semplicemente non prendiamo nemmeno in considerazione.

Ed ogni scelta contiene in sè il dubbio opposto, ogni bivio un'orma della propria volontà sulla sorte.
Siamo 0 ed 1. Come un interruttore non direttamente gestibile sugli eventi, come il sistema binario che è alla base dei modelli matematici che consentono questo splendido trionfo della tecnologia schifosa che consente di comunicare meglio di quanto non si è capaci di fare di fronte ad un eletto bicchiere di vino.
Ed i pugni in bocca ed i calci in culo sono come lo scalpello di Michelangelo sul bianco marmo della nostra vita. Anche tutte le sozzure che abbiamo ingoiato, la merda a cui abbiamo assistito per noi e per gli altri a cui volevamo bene. Chi se ne è andato lasciandoci una mano senza calore in nostra assenza, chi con una promessa da mantenere con arduo coraggio. Le bruttissime parole con cui si demolisce la fragile vita di una persona che, nonostante i suoi difetti e problemi, mi voleva bene. Le colpe e la condanna a vedere un baratro laddove gli altri vedono un forellino da uncinetto.
La amara constatazione che non riesco più a sentirmi infelice. Che non ho più nemmeno il coraggio di piangere per qualcosa.
Che non riesco più a bagnare di lacrime il mio viso.
Che non ho più compassione per coloro che soffrono dei propri limiti e della propria angosciosa incapacità di risollevarsi dai propri complessi di qualsivoglia natura, che l'angoscia è un sentimento pericoloso per gli sciocchi (cit. Kierkegaard).  Li comprendo nella mia razionalità più aberrante che s'è eretta a furia di conservare troppe cose, ma dinanzi ai quali non sarò capace di riuscire ad elargire consigli, e nemmeno una sacrosanta, commossa, compartecipe pietà.
Non esiste un dannato manuale di istruzioni per vivere, e ciascuno deve arrangiarsi il proprio tragitto.
La gente mi cerca, mi cerca, mi cerca e si rivolge a me, alla mia figura, al mio pupo. Si offre di ascoltarmi proprio quando io vorrei chiedere a chiunque intorno di mettermi a tacere.
E poi finisce col riversare il suo sé addosso al mio caos calmo (porca puttana se non le rivivo quelle situazioni).
Che le cose o sono tutto o sono niente, per me.
Che accontentarsi di arrivare secondi equivale a non aver mai partecipato.
Che dentro si sa benissimo che tutto è stato ardimentosamente costruito per cercare di sentirsi sempre uguali agli altri ragazzini che correvano perchè impauriti dall'essere catturati dai vigili perché rischiavano di rompere i vetri di qualcuno col pallone. Mentre il tuo culo era parato dal nome e dalla discendenza che prevedeva per te grandi progetti... voglio una canna, e la voglio adesso.
Che quando si è deprivati dell'istinto al dolore è peggio dell'essere privati della felicità.
Che le colpe si depositano come metri che allungano soltanto quella solitudine e quella minima distanza con cui si è già fatto il punto di doversi confrontare nel profondo più profondo.
Che si attende solamente chi in quel profondo più profondo è capace di mettere le mani e capire in silenzio.
Che far star zitta la ridondante eco di una vita che si ripropone sottolineando ogni singola frase che non è mai, mai, mai, mai lasciata al caso è un compito penoso, anzi uno strazio.
Che non me ne fotte niente di dover stare attento alla diplomatica tensione tra burattini permalosi di cui si abbevera questa fitta trama di relazioni interpersonali.
E se faccio qualcosa per gli altri è perché non si può accettare passivamente tutto infibulando la speranza...
Chi dice che sono pessimista è un ciuccio di quelli registrati all'anagrafe dei cialtroni.
Se amo è solo per una forma di egoismo estremo che si compiace ed eleva fino alla completa rinuncia a se stessi.

Ed anche se è mitologia, la frase della Genesi "andate e moltiplicatevi" racchiude l'unico cavolo di senso compiuto che si può dare all'esistere. Perché Courbet non è un idiota a dipingere determinati quadri che fanno sorridere solo i castrati mentali e i vermi. E che guarda caso si invecchia non appena si varca la soglia dell'età utile al raggiungimento dell'unico infinito che è possibile solo mediante la procreazione.
Siamo individui o siamo membri arruolati in una specie animale? La fortuna di essere cavallo, diceva Pirandello.
Circuìti a dover fenomelogicamente contenere moltitudini, tesi, antitesi e sintesi. C'entra anche Hegel? Certo che c'entra, il contrasto e la cenciosa soluzione mescolata che vien fuori sono il paradigma per non capire un cazzo e vivere felici senza chiedersi il perché di niente.
Al di fuori di questo architrave annichilente per l'uomo pigro, senza neppure la coscienza del proprio evanescente inglorioso destino, ci sono solo due strade: la nevrosi, o l'arte.
La sensibilità è quella dote non gratuita che consente di stare dappertutto e capire, o "sentire" empatia per quelle esistenze che in ogni caso narrano fuori qualcosa che in noi s'è già sviluppato. Solo chi ha vissuto conosce e può spiegare. Io ho vissuto? Non smetterò mai di chiedermelo. Dal punto di vista geografico, no. Del resto, francamente me ne infischio.

Quando si smarrisce l'illusione di essere eterni, tutta la vita che resta è segnata. Ed io l'ho smarrita troppo presto. L'ho persa a 13 anni. Come una specie di verginità cupa che ti protegge.
E una volta perduta ti consente di dare un valore, e non un prezzo, anche alla sofferenza che tuttora mi appare così banale. E che non mi è giustificata pressoché da nulla.
E quando nulla diventa degno delle lacrime, nulla è degno di esistere davanti ai tuoi occhi.

Ho sedato una rissa. Ho cercato due amici e li ho raggiunti. A piedi, senza quella macchina che pressochè tutte le sere passa Figlio d'un cane.
L'ultima volta che ho gironzolato da solo in notturna con la mia macchina ho ascoltato a palla il Dies Irae del requiem di Giuseppe Verdi.

Quando non voglio essere pensato, cercato, benvoluto, considerato.
C'è un grosso fascio di stecche di cioccolata nel frigorifero in cucina. Poiché ci si dimentica dei dolci in rari momenti di dolcezza che tuttora non esistono, e non avendo a disposizione un secchio di nutella gigante, ad essa mi rivolgo. E mentre mi accingevo a rifornirmi della dose minima di sopravvivenza compatibile con il regime monastico che ho imposto alla mia alimentazione, ho guardato mio padre dormire sul divano di casa.

E per un attimo ho pensato che se dovessi ridurmi così alla sua età, preferirei non arrivarci mai. Probabilmente diventerò anche peggio, ma intanto cominciamo a definire e a programmare. Perché io resto un leninista convinto, nonostante qualche sbavatura da parte di quest'ultimo.


L' angoscia che dà una pianura infinita? Hai voglia di me e della vita,
di un giorno qualunque, di una sponda brulla? Lo sai che non siamo più nulla?
Non siamo una strada né malinconia, un treno o una periferia,
non siamo scoperta né sponda sfiorita, non siamo né un giorno né vita...